Giornata della memoria: 27 Gennaio 2005
Data:
Argomento: ...per non dimenticare.


Il mio contributo per la giornata della memoria: alcune pagine tra le più significative del romanzo di Eli Wiesel La Notte .

- La tua età? – domandò con un tono che forse voleva essere paterno.

- Diciott’anni. – la mia voce tremava.

- Sano?

- Sì.

- Il tuo mestiere?

Dire che ero studente?

- Contadino. – Mi sentii rispondere.

Quella conversazione non era durata più di qualche secondo. A me era sembrata un’eternità.
La bacchetta verso sinistra. Io feci un mezzo passo in avanti. Volevo prima vedere dove avrebbe mandato mio padre. Fosse andato a destra, io l’avrei raggiunto.

La bacchetta si inclinò anche per lui verso sinistra. Un peso mi cascò dal cuore.

Noi non sapevamo ancora quale direzione fosse quella buona, se quella a sinistra o quella a destra, quale strada portasse alla prigionia e quale al crematorio, ma tuttavia mi sentivo felice: ero accanto a mio padre. La nostra processione continuava ad avanzare, lentamente.

Un altro detenuto si avvicino:

- Contenti?

- Sì – Rispose qualcuno.

- Disgraziati, state andando al crematorio.

Sembrava dire la verità. Non lontano da noi delle fiamme salivano da una fossa, delle fiamme gigantesche. Vi si bruciava qualche cosa. Un autocarro si avvicinò e scaricò il suo carico: erano dei bambini. Dei neonati! Sì, l’avevo visto, l’avevo visto con i miei occhi… Dei bambini nelle fiamme. (C’è dunque da stupirsi se da quel giorno il sonno fuggì i miei occhi?).

Ecco dunque dove andavamo. Un po’ più avanti, avremmo trovato un’altra fossa, più grande, per adulti.

Io mi pizzicai la faccia: ero ancora vivo? Ero sveglio? Non riuscivo a crederci. Come era possibile che si bruciassero degli uomini, dei bambini, e che il mondo tacesse? No, tutto ciò non poteva essere vero. Un incubo… presto mi sarei risvegliato di soprassalto, con il cuore in tumulto, e avrei ritrovato la mia stanza, i miei libri…

La voce di mio padre mi strappò ai miei pensieri:

- Peccato… Peccato che tu non sia andato con tua madre… Ho visto parecchi ragazzi della tua età andarsene con le loro mamme…

La sua voce era terribilmente triste. Capii che non voleva vedere ciò che mi avrebbero fatto. Non voleva vedere bruciare il suo unico figlio.

Un sudore freddo mi copriva la fronte, ma gli dissi che non credevo che si bruciassero degli uomini nella nostra epoca, che l’umanità non l’avrebbe più tollerato…

- L’umanità? L’umanità non si interessa a noi. Oggi tutto è permesso, tutto è possibile, anche i forni crematori…

La voce gli si strozzava in gola.

- Papà, - gli dissi – se è così non voglio più aspettare. Mi butterò sui reticolati elettrici: meglio questo che agonizzare per ore tra le fiamme.

Lui non mi rispose. Piangeva. Il suo corpo era scosso da un tremito. Intorno a noi tutti piangevano. Qualcuno si mise a recitare il Kaddìsh, la preghiera dei morti. Non so se è già successo nella lunga storia del popolo ebraico che uomini recitino la preghiera dei morti per sé stessi.

- Yitgaddàl veyitkaddàsh shemè rabbà… Che il Suo Nome sia ingrandito e santificato… - mormorava mio padre.

Per la prima volta sentii la rivolta crescere in me.

Perché dovevo santificare il Suo Nome? L’eterno, il Signore dell’Universo, l’Eterno Onnipotente taceva: di cosa dovevo ringraziarLo?

Continuammo a marciare. Ci avvicinavamo a poco a poco alla fossa da cui proveniva un calore infernale. Ancora venti passi. Se volevo darmi la morte, questo era il momento. La nostra colonna non aveva da fare che una quindicina di passi. Io mi mordevo le labbra perché mio padre non sentisse il tremito delle mie mascelle. Ancora dieci passi. Otto. Sette. Marciavamo lentamente, come dietro ad un carro funebre, seguendo il nostro funerale. Solo quattro passi. Tre. Ora era là, vicinissima la fossa e le sue fiamme. Io raccoglievo tutte le mie forze residue per poter saltare fuori dalla fila e gettarmi sui reticolati. In fondo al mio cuore davo l’addio a mio padre, all’universo intero e, mio malgrado, delle parole si formavano e si presentavano sulle mie labbra: Yitgaddàl veyitkaddàsh shemè rabbà… Che il Suo Nome sia elevato e santificato… Il mio cuore stava per scoppiare. Ecco: mi trovavo di fronte all’Angelo della morte…

No. A due passi dalla fossa ci ordinarono di girare a sinistra, e ci fecero entrare in una baracca.

Io strinsi forte la mano di mio padre. Lui mi disse:
- Ti ricordi la Signora Schachter, sul treno?


Mai dimenticherò quella notte, la prima notte nel campo, che ha fatto della mia vita una lunga notte e per sette volte sprangata.

Mai dimenticherò quel fumo.

Mai dimenticherò i piccoli volti dei bambini di cui avevo visto i corpi trasformarsi in volute di fumo sotto un cielo muto.

Mai dimenticherò quelle fiamme che bruciarono per sempre la mia Fede.

Mai dimenticherò quel silenzio notturno che mi ha tolto per l’eternità il desiderio di vivere.

Mai dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio Dio e la mia anima, e i miei sogni, che presero il volto del deserto.

Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a vivere quanto Dio stesso. Mai.



            (Elie Wiesel, La notte, Edizione Giuntina, Firenze 2001, pp. 37-40)






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